giovedì 21 agosto 2014

Chi ha ucciso Speranza?

Dice il detto "la speranza è l'ultima a morire!". Un altro dice "finché c'è vita, c'è speranza". Insomma sta speranza non sta messa tanto bene... Morirà da sola, triste perché sarà l'ultima rimasta e soprattutto perché le saranno passati davanti tutti gli altri che da lei un po' hanno preso. La prima ad andarsene sarà probabilmente la Sorpresa, breve ma intensa essa dovrà lasciare spazio a Gioia. Gioia non si sa quanto dura, sicuramente meno di Speranza e va spesso a braccetto con un sacco di altra gente... Amicizia, Amore, Famiglia... Gioia, cresce e grazie alla compagnia degli altri diventa Felicità, un po' più matura, robusta, fondata su di un legame stretto difficilmente definibile da quella pignola della Ragione, che deve sempre stare lì a mettere i puntini sulle i, ma un legame che comunque è più solido di quello che di solito portano Amore e Passione. Felicità poi comincia ad invecchiare... se tutto va bene e non si ammala diventerà Serenità, si guarderà indietro ogni tanto fiera del percorso che ha fatto, di come l'ha fatto e felice di averlo concluso. Ma purtroppo a volte Felicità si ammala, si sente vecchia, si ammala di Nostalgia e allora comincia a camminare da sola, con un bastone che non lascia mai, che chiama Passato, e si siede spesso su di una panchina a guardare i Ricordi, rimugina sui treni persi. A forza di stare con la schiena curva su Passato, perde di vista Speranza, e non vede altro che nero... Per questo cominciano a chiamarla Malinconia. Speranza si sforza, si impegna e ogni tanto Melanconia vede un po' meno nero, ma la malattia c'è e non si può curare. Un giorno, Malinconia, bisticcia con Speranza, che vuole farla smettere di guardare i Ricordi appoggiato a Passato, inerte e vuoto. Ma Malinconia è stufa, Speranza secondo lei, gli ha sempre raccontato un mucchio di balle, non si farà abbindolare di nuovo!Speranza, che ogni volta viene e la illude a suon di Domani e di Futuro, le banconote usate per comprare Esperienze nuove e fresche, che però poi si trasformano in Ricordi. Ne ha abbastanza di ricordi ora basta! Così quando speranza si presenta da lei carica di Futuro e Domani, Malinconia prende Passato, il suo fedele bastone, e glielo sbatte in testa, fortissimo, poi prende le banconote e le brucia. Speranza ci è rimasta secca. L'ha uccisa la Malinconia col peso e la durezza del Passato. Futuro e Domani non si possono avere senza Speranza, che è stata l'ultima a morire, ammazzata da Malinconia.

giovedì 22 maggio 2014

La cicatrice

Le cicatrici hanno tanti motivi dietro. Ci sono quelle che ti restano per una cazzata fatta con gli amici su cui ci ridi e ci scherzi sopra, quelle che ti restano perché sei finito sotto i ferri, quelle che ti procuri per una sfiga inaspettata e quelle che invece, le hai perché il danno te lo sei cercato e voluto... Ecco i ricordi sono un po’ come le cicatrici. Bene o male fanno parte di te volente o nolente, che tu ci faccia caso solo ogni tanto o che ti ci soffermi ogni volta davanti allo specchio. fanno parte di te, sono il passaggio che ti ricorda il prima e ti rende cosciente del dopo. Senza non saresti te stesso, nel bene e nel male. Ci sono quelle che ti hanno migliorato, che sono state il prezzo da pagare per un cambiamento giusto, che ci voleva. Poi ci sono quelle che ti fanno sorridere, perché dietro c’è un ricordo di un momento veramente bello,carico, un momento in cui farsi quella cicatrice non è pesato, anzi il gioco valeva la candela. Poi purtroppo ci sono anche quelle che ogni volta che le guardi, che sia spesso o quasi mai, dopo tanto o poco tempo che ormai sono lì, ti lasciano quel velo sullo sguardo, quel gusto agrodolce in bocca se non amaro a volte. Quella di cicatrice conta molto moltissimo. Lì c’è il prima che non torna, la svolta verso qualcosa che non torna, quel misto di rimpianto e di rimorso che fa riflettere e pensare che era possibile evitare quella striscia di pelle che rimane bianca anche dopo un’estate di sole. Non si può rinunciare alle cicatrici. Non si sarebbe più noi stessi. Ti ci abitui e ci convivi. Si puoi fare una plastica, ma forzi la natura delle cose, “snaturi” te stesso, aggiungi una cosa che con te non c’entra nulla, mentre una cicatrice con te ci è sempre stata legata, dall’attimo in cui hai iniziato a sanguinare.  “Carpe diem” è una gran frase, ma non si sa mai quale sia quel maledetto attimo, quale sia quello giusto. Quale attimo si sceglie per evitare quella brutta cicatrice?

mercoledì 14 maggio 2014

Superman

La sensibilità di uno strumento è la più piccola unità di misura che può percepire. Quindi una persona sensibile è quella in grado di cogliere variazioni che a una persona normale sfuggono. Un leggero cambio di atteggiamento, un sorriso in più rispetto al solito, tutte piccole variabili che di solito alla gente normale sfugge. si perchè quelli sensibili non sono normali, purtroppo o per fortuna. la sensibilità li rende diversi. proprio perché in grado di percepire qualcosa che agli altri sfugge spesso si ritrovano a sentire le cose più intensamente del normale. per loro il peso delle cose, dei gesti, delle emozioni, delle situazioni, in generale di quello che accade è diverso. tendono a vivere le cose in una maniera assai più profonda degli altri. spesso sono le donne ad avere questa sensibilità, questo dono/impiccio, che le rende sicuramente molto più furbe di noi uomini, e al contrario di quanto si possa pensare le rende anche più forti. Però non è tutto oro quello che luccica, se da un lato si vivono le gioie più intensamente, perché si ha una leggerezza in più rispetto agli altri, quando arriva un peso, un dolore, una sconfitta, la botta è molto più forte per chi è sensibile che per chi non lo è. Il dolore è sempre più acuto, le tinte sono sempre più fosche, e la luce è sempre più fioca. il destino di chi è sensibile è vivere tutte le emozioni belle e brutte in maniera profonda e piena, si sentono diversi, si sentono più vecchi, si sentono spesso come in balia di una corrente che possono solo subire, nel bene e nel male. gli sembra sempre che il tempo scorra veloce, troppo veloce, e ogni tanto si sentono pure soli perchè solo a loro pare di venire investiti in maniera così forte da emozioni che apparentemente solo loro ingigantiscono. spesso riversano sugli altri questo dono/impiccio, aiutandoli a vedere dove loro non possono cogliere il dettaglio, senza una ragione, le cose le sanno perchè le sentono e le sentono di più.


venerdì 24 gennaio 2014

La Maratona

"Non ne vale la pena mi pare, che dici?" sono quelle domande che ti mandano in crisi. La domanda in questo caso poi è azzeccatissima. Il penare, il soffrire, il dover sopportare, ha un valore? Quando vedi che cominci a perdere i pezzi perché stai correndo verso qualcosa che non è nelle tue capacità raggiungere e ottenere, vale la pena continuare a correre? quando i piedi sanguinano, le gambe non rispondono, la testa gira e il fiato è corto, a senso continuare a correre? ha senso inseguire un traguardo che ti viene spostato ogni volta che stai per tagliare il nastro? ha senso continuare a correre quando sei rimasto l'unico corridore? Perché non ti fermi. Prendi fiato e ti rilassi un attimo, la meta non scappa, è lì! eppure ci sono volte in cui fermarsi è una sconfitta. Cadere non servirebbe a rialzarsi, ma solo a rimanere seduto a terra nella polvere, col nastro del traguardo che sventola come la lingua in una pernacchia. Ci sono corridori che sono un po' come Dorando Pietri. Non possono smettere di correre, perché anche se ogni fibra urla pietà, basta, urla di fermarsi, la corsa è tutto. continuare a correre è assieme mezzo e scopo, sostanza e forma, e soprattutto è motivo fondante di quel momento presente. c'è solo quello che conta. non c'è altro. non c'è la folla, non c'è l'avversario, non c'è nemmeno il traguardo. c'è solo correre, come se dovesse andarne della propria vita. E allora a quella domanda all'inizio, vale la pena, risponderei si, ne vale la pena, vale la pena di intestardirsi e non fermarsi, vale la pena non voltarsi a vedere cosa ti sei lasciato dietro vale la pena ignorare tutto ciò che c'è intorno a noi ma anche ignorare cosa c'è dentro di noi. Pazienza se al traguardo sarai solo, se non correrai più o se ci avrai lasciato le penne nella corsa. Era la cosa più importante di tutte. il resto era solo di cornice, fronzoli e decorazioni non funzionali. Vale la pena, anche se gli altri non capiscono, anche se ti danno dello stupido, del masochista e dello sconsiderato. Quella corsa è l'essenza di tutto per chi c'è dentro. Una famosa canzone diceva "for what is worth, it was worth all the while". Per quel che vale, ne è valsa la pena per tutto il tempo. Qui sta la spiegazione di tanta scelleratezza. Il valore di quella corsa è intrinseco della corsa stessa e solo chi corre può capire perché.

martedì 26 novembre 2013

L'ostetrica

S aveva conosciuto A. per caso, durante una vacanza all'estero. Si erano piaciuti, si erano uniti e poi la distanza li aveva brutalmente allontanati. Ma ci avrebbero comunque provato lo stesso. Non aveva funzionato ma l'importante era averci provato, averlo vissuto. S aveva dovuto dichiarare la resa. A. non le dava più quello di cui lei aveva bisogno, era distante, ma non fisicamente, e seppur con ritrosia S aveva deciso che doveva prendere lei una decisione e l'aveva presa. con coraggio e determinazione. e soprattutto con convinzione. Credeva assolutamente di fare ciò che era più giusto. Ma nonostante questo, S sentiva la mancanza di A. paradossalmente la mancanza aumentava col tempo, piuttosto che affievolirsi. Fu così che un giorno di autunno che assomigliava tanto ad uno in inverno, i dubbi la tartassavano. Sarà stato il freddo, la casa vuota, la solitudine, la cioccolata calda venuta male, ma in quel giorno, A mancava molto più del solito. S continuava a porsi domande. "Cosa farà?", "Sarà con qualcun'altra?", "Mi penserà?" ma la domanda più pesante era "Gli mancherò?". Era questa domanda in particolare che non le dava pace. Aveva già preso il cellulare in mano un sacco di volte, scritto e cancellato messaggi, prima con una scusa come premessa, poi più smielati, ma li aveva comunque eliminati. La cosa andava avanti ormai da un po' e S cominciava a sentirsi immensamente stupida oltre che un po' codarda. Un bel respiro, sblocca lo schermo del telefonino e digita A nel campo del destinatario. Cosa scrivere? Mi manchi. Bam. Secco. Senza tanti giri di parole. Invio. E ora inizia la paranoia. "Risponderà? se si cosa? e se risponde come rispondo?". Ovviamente la risposta ideale sarebbe "anche tu" ma meglio non allargarsi troppo. Il cellulare squilla vibrando. è lui. "Io invece non lo so se mi manchi, ci devo pensare..." sbam... e ora? Meglio evitare una risposta pensa S mentre posa il telefono sul tavolo. Ricominciano i dubbi. "ho fatto bene a scrivergli?" A questo punto ci vuole assolutamente una cioccolata calda mentre si lotta contro i dubbi, per tirarsi su il morale e combattere il freddo, tanto quello dentro quanto quello fuori. E mentre sorseggia la sua Ciobar, il telefono sul tavolo squilla e vibra di nuovo... "A avrà una risposta?". S prende il telefonino in mano, ma le sue speranze si infrangono. Non è A, ma Emme. Emme è un amico che abita fuori, anche lui sta avendo un mega periodaccio, diciamo che non si sa chi dei due sta prendendo più sberle e muri in faccia. Emme però la aiuta a farla sentire un po' meno sola e ogni tanto le strappa pure un sorriso. Le fa capire che anche nella sfiga, anzi soprattutto nella sfiga, si è in compagnia. Il giorno prima, scherzando sul fatto che sia lei che Emme ultimamente avevano la vitalità di un cadavere, avevano elaborato piani diabolici per zombificare le persone e regnare su un mondo di depressi. lei poi non aveva più risposto. Emme le aveva scritto semplicemente "allora?". Emme cascava a fagiolo. 
S:ho scritto ad A che mi manca........
Emme: e?
S: ha detto che ci deve pensare
Emme: è un idiota
S: Dici? Perché?
Emme: a certe cose non c'è bisogno di pensare.
S: ho fatto una cazzata?
Emme: non sono nessuno per giudicare...
S: non giudicare, ma secondo te ho fatto male?
Emme: non credo. Pensi che non farlo ti avrebbe fatto stare meglio?
S: no secondo me il dubbio era peggio. almeno ora so se ci tiene una volta per tutte...
Emme: Voilà! Ti sei risposta.
S: Grazie :)
Emme: e di che? hai fatto tutto tu
S: lo so ma tu sei un ostetrica. non sapevo cosa pensavo finché non me lo hai chiesto.
Emme:  lo prendo come un complimento :) 

A volte abbiamo solo bisogno di domande, più che di risposte. Spesso le abbiamo sotto il naso e non ce ne accorgiamo. per fortuna esistono le ostetriche.  Prive(o quasi) di pregiudizi, ti tirano fuori quello che non sapevi di avere. Grazie Emme...

venerdì 4 ottobre 2013

Le Ossa Piene

“Not a lot of people know what it feels like to be angry, in your bones. I mean, they understand, foster parents, everybody understands, for awhile. Then they want the angry little kid to do something he knows he can't do, move on. So after awhile they stop understanding. They send the angry kid to a boys home. I figured it out too late. You gotta learn to hide the anger, practice smiling in the mirror. It's like putting on a mask.”


“Non molte persone, sanno come ci si sente ad essere arrabbiato, dentro le ossa. Quello che voglio dire, è che, sì lo capiscono, genitori adottivi, tutti lo capiscono... per un po’. Dopo però vorrebbero che il piccolo ragazzino faccia qualcosa che lui sa di non poter fare; andare avanti. Perciò dopo un po’ smettono di capire. Mandano il piccolo bambino arrabbiato in un riformatorio. Io l’ho capito troppo tardi. Devi imparare a nascondere la rabbia, esercitarti a sorridere allo specchio. È un po’ come mettersi su una maschera.”

(liberamente tradotto e interpretato dal film Batman – The Dark Knight Rises).

Adoro questo pezzo del film in cui il poliziotto Blake fa questo discorso a Bruce Wayne alias Batman. è un discorso breve, ma intenso e carico, che riesce a descrivere bene come ogni tanto noi stessi mentiamo spudoratamente, annullandoci pur di non essere visti deboli. e questo non vale solo per la rabbia. e spesso dimentichiamo una cosa molto più importante di questa. non tanto di mettere la maschera per sopravvivenza, ma ci scordiamo che non siamo gli unici a voler sopravvivere e che pertanto la nostra non è l'unica maschera, e prendiamo invece per buono il volto di qualcosa che non è altro che una mistificazione di chi c'è dietro. Non bisogna fermarsi alla maschera. non con tutti. per quanto sfigurato e brutto possa essere il volto che vi è celato dietro ogni tanto è bene mostrarlo a coloro i quali fanno perlomeno lo sforzo di allungare una mano, ma non per strapparla violentemente e rubare un segreto, ma che con delicatezza la sfilano per aiutare ad alleggerire il peso di quel volto.

giovedì 3 ottobre 2013

Il Vento In Poppa

Nebbia. Massa informe di vapore. Staziona sulla strada. se fitta non riuscirai a vedere nemmeno ad un palmo del tuo naso. se ci punti una luce contro vedrai solo un muro bianco, stabile ma non solido, sembra fermo, immobile, ma in realtà si muove cambia forma, confonde, ruota intorno. Nella nebbia non esiste direzione, non esiste né la destra né la sinistra. Non esiste né il prima né il dopo. Il tempo è solo scandito dal tuo respiro. è la paralisi. il movimento sembra un vano sforzo verso una via d'uscita che è nascosta sotto una coltre nebulosa. Da dove iniziare? fare il primo passo. ma dove? in quale direzione? e se la direzione fosse quella sbagliata? e se mi portasse dove non voglio. Inizia a camminare. muovi con attenzione i piedi, un passo alla volta, lentamente, un passo alla volta, la luce puntata su quei pochi centimetri davanti alle scarpe. pensi che se sei fortunato uscirai da qualche parte con solo un po' di spavento. forse non dove volevi o ti aspettassi, ma sei fuori, la nebbia è dietro, la strada è di fronte e in qualche maniera il viaggio andrà avanti. Giri e giri, ma è inutile, c'è solo una massa vaporosa ovunque tu metta piede. panico. inizi a correre, quasi volessi batterla in velocità, ti sfianchi fino a che, con il fiatone non ti fermi. le mani sulle ginocchia, ansimando. non ne uscirai. cominci seriamente a credere che non ne uscirai. qualcosa però si muove. dapprima è un leggero turbinio ma poi lo senti. Vento! la nebbia si muove, si contrae, si distorce, quasi avesse degli spasmi. poi lentamente come acqua che scorre su un vetro lentamente, scivola via. la brezza accarezza il viso, schiudendo un sorriso. la strada è lì. il cammino ricomincia, col vento in poppa. "blowing in the wind"